Onorevoli Colleghi! - La presente proposta di legge è stata elaborata in collaborazione con l'Associazione per i diritti degli utenti e consumatori (ADUC).
      L'articolo 6 della legge n. 184 del 1983 indica i requisiti necessari per adottare un minore. Il primo di essi si identifica nell'esistenza di una coppia matrimoniale e nella stabilità della stessa.
      Il legislatore, anche con le modifiche del 2001, volendo continuare a realizzare, con l'adozione, il modello di rapporto naturale che pone il minore in relazione con un padre e con una madre, a sua volta uniti tra loro da un vincolo forte e chiaramente identificabile, ha ritenuto indispensabile la presenza di una coppia unita in matrimonio.
      Questo indirizzo va contro l'orientamento, oggetto in passato di ampio dibattito e recepito da convenzioni internazionali, secondo cui l'adozione dovrebbe essere consentita anche ai singoli. Il riferimento, in particolare, riguarda l'articolo 6 della Convenzione di Strasburgo del 24 aprile 1967, resa esecutiva in Italia con la legge 22 maggio 1974, n. 357, che prevedeva l'illimitata possibilità della persona singola di adottare un minore.
      L'argomento fu oggetto di una celebre causa, promossa dall'attrice Dalila Di Lazzaro, che si svolse in più fasi, con intervento della Corte costituzionale e decisione finale, negativa per l'istante, della Corte di cassazione (21 luglio 1995, n. 7950).
      In occasione della riforma del 2001, la discussione in sede parlamentare, piuttosto che il diritto dei singoli, ha avuto ad oggetto la possibilità di adozione per le coppie di fatto.
      La tesi secondo cui le più ampie garanzie per il minore adottando sono fornite da una coppia che abbia assunto pienamente gli obblighi e le responsabilità familiari, contraendo matrimonio, è risultata ancora prevalente.
      Si è detto che la coppia matrimoniale è quella che fornisce le maggiori garanzie

 

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di stabilità e che la Costituzione, affermando che la famiglia è una società naturale fondata sul matrimonio, continua a indicare una netta preferenza per tale modello, con la conseguenza che esso deve essere preferito anche in sede di adozione, dovendo essere perseguito, nell'ambito di tale istituto, il fine di dare al minore privo di assistenza morale e materiale la sistemazione migliore possibile.
      A nostro avviso, occorre tener presenti due obiettivi, entrambi riconducibili all'interesse del minore. Da un lato è necessario ampliare la platea dei possibili adottanti, specie in relazione ai minori di età superiore a sei anni o afflitti da handicap, dall'altro è opportuno porre fine ai pregiudizi e alle prese di posizione astratte.
      Se il tribunale deve vagliare i requisiti di coloro i quali si propongono come adottanti e, secondo la previsione dell'articolo 22, comma 5, della legge n. 184 del 1983, deve scegliere quanti appaiono maggiormente in grado di corrispondere a esigenze del minore, non sembra opportuno porre ostacoli pregiudiziali sulla via di tale indagine.
      L'esame da svolgere in concreto costituisce la migliore garanzia, e ogni prerequisito è potenzialmente idoneo a diminuire la capacità di realizzare al meglio l'interesse del minore.
      Può esservi un singolo in grado di dare al minore un apporto affettivo ed educativo maggiore di quello che può normalmente fornire una coppia.
      Ciò che si sostiene è che, se si reputa che i tribunali abbiano la competenza per individuare, nel caso concreto, l'interesse del minore, è opportuno lasciare che compiano la propria attività senza l'imposizione di pregiudiziali ideologiche, quale quella secondo cui il doppio riferimento paterno e materno è, ad imitazione della natura, non solo la soluzione migliore, ma l'unica possibile, tanto da affermare che è meglio una «non adozione», cioè lasciare il minore in istituto o presso una comunità e comunque non garantirgli i diritti e il senso definitivo di identità che l'adozione comporta, piuttosto che consentire che il rapporto adottivo sia costruito con un singolo.
      La Corte di cassazione, sezione prima civile, sentenza 18 marzo 2006, n. 6078, nel rigettare la richiesta di adozione di una madre romena, avente la doppia cittadinanza, nei confronti di una bambina già da lei adottata secondo la legge di quel Paese, ha affermato che il legislatore «ben potrebbe provvedere, nel concorso di particolari circostanze, tipizzate dalla legge o rimesse di volta in volta al prudente apprezzamento del giudice, ad un ampliamento dell'ambito di ammissibilità dell'adozione da parte di una singola persona, anche qualificandola con gli effetti dell'adozione legittimante, ove tale soluzione sia giudicata più conveniente per l'interesse del minore».
      In data 20 aprile 2006, gli organi di stampa hanno dato atto di un intervento del cardinale Martini. In particolare, il Corriere della Sera l'ha così riportato: «Single e adozioni. Semaforo verde per i single in campo di adozioni: in mancanza di una famiglia "composta da un uomo e una donna che abbiano saggezza e maturità", anche "altre persone, al limite anche i single, potrebbero dar di fatto alcune garanzie essenziali. Non mi chiuderei perciò a una sola possibilità, ma lascerei ai responsabili di vedere quale è la migliore soluzione di fatto, qui e adesso, per questo bambino o bambina. Lo scopo è di assicurare al massimo le condizioni favorevoli concretamente possibili. Perciò quando è data la possibilità di scegliere occorre scegliere il meglio"».
      In pratica, la nostra legge, dovendo adeguarsi alla Convenzione di Strasburgo e ad altre convenzioni internazionali, dopo averle ratificate e rese esecutive in Italia, ha adottato questo stratagemma: l'adozione dei single è da noi consentita, ma nelle limitate forme dell'adozione in casi particolari, di cui agli articoli 44 e seguenti della legge n. 184 del 1983.
      Ma tali previsioni, se pure storicamente hanno il pregio di aver costituito un primo passo nell'ampliamento delle categorie degli adottanti, devono esser superate integralmente per dare spazio all'equiparazione
 

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integrale e non discriminatoria delle coppie coniugate rispetto a un single, o del minore sano piuttosto che di quello handicappato. Il permanere di queste estinzioni, infatti, non ha ad oggi alcun motivo di essere, e costituirebbe una diabolica adozione «di serie B» per questo non ulteriormente accettabile nell'interesse del minore. Si tratta, infatti, dell'adozione possibile per minori colpiti da handicap o comunque minori difficili, che nessuno vuole.
      Per costoro è stata proposta un'adozione non dignitosa, diversa da quella ordinaria e, addirittura, revocabile!
      Costituisce un atto di civiltà abolire tale tipo di adozione e, se si ritiene che i single possano dare il loro contributo, adottando anche i casi difficili, consentire ad essi di farlo in modo chiaro e pieno, con un'adozione non diversa da quella applicabile alle coppie «normali» e ai bambini «normali».
      Dunque, la nostra proposta abroga definitivamente (articolo 19) ogni distinzione fra adozione di minore sano piuttosto che di minore affetto da handicap, estende la possibilità di adozione per le persone singole, così come anche per le coppie di fatto che convivono stabilmente e continuativamente da almeno tre anni e che fanno parte del medesimo nucleo familiare. Quest'ultima previsione (articolo 2) si rende del resto agevole con la precedente riforma che ha consentito alle coppie intenzionate all'adozione (che si trovano nella condizione appena descritta) di sposarsi anche poco prima delle pratiche. Così facendo il legislatore ci consente oggi di intervenire con la nostra proposta a giochi già fatti, dal momento che è già pienamente riconosciuta la validità legale dello status di coppia di fatto. Non riteniamo che ci siano ragioni per pretendere, nella medesima situazione, a parità degli impegni assunti, la celebrazione del matrimonio come presupposto giuridico necessario all'adozione.
      La nostra proposta tenta anche di snellire i tempi del procedimento di adozione, dimezzando (articolo 5 e 10) i termini previsti per il compimento delle indagini sulla idoneità adottiva e l'eventuale sua proroga, così come alcuni tempi di trasmissione delle relazioni degli assistenti sociali al tribunale per i minorenni. All'articolo 7, si propone la modifica da sessanta a trenta giorni del termine per la fissazione delle udienze di discussione degli eventuali appelli e ricorsi per cassazione.
      Una ulteriore modifica è proposta all'articolo 9, laddove si consente all'adottato divenuto maggiorenne di prendere visione degli incartamenti relativi alla sua famiglia d'origine, salvi gli effetti del diniego di autorizzazione da parte del genitore biologico. Attualmente, infatti è consentito solo al maggiore di anni venticinque.
      Infine, si propone di abrogare l'iniqua e incostituzionale differenza fra uomo e donna nel trasmettere il proprio cognome al figlio adottivo. È previsto, infatti, all'articolo 21, in caso di adozione disposta nei confronti di una coppia, indipendentemente dal fatto che sia unita in matrimonio o meno, che la stessa, di comune accordo, dichiari al tribunale per i minorenni ovvero all'ufficiale di stato civile quale dei due cognomi intende trasmettere all'adottato, ovvero se intenda trasmetterli entrambi e in quale ordine. In caso di disaccordo fra i genitori adottivi, l'adottante acquista il cognome di entrambi in ordine alfabetico.
      I restanti articoli della proposta mirano solo ad adeguare il corpo della normativa già esistente alla scelta di estensione dell'adozione per i single e per le coppie di fatto, prevista all'articolo 2.
 

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